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Medico Reumatologo. Reumatologia e Immunologia Clinica ASST Spedali Civili Brescia

ARTRITI NELLE MALATTIE INFIAMMATORIE CRONICHE INTESTINALI

INTRODUZIONE

L’artrite associata alle malattie infiammatorie croniche intestinali si definiscono enteropatica.
Possono complicare la Rettocolite Ulcerosa o la malattia di Crohn.
Nella genesi delle artriti correlate a malattie infiammatorie intestinali  entrano in gioco diversi fattori: genetici ed ambientali (1). Vengono definite sieronegative, perché non si rileva nel siero il fattore reumatoide,
E’ verosimile che l’aumentata permeabilità intestinale ad antigeni batterici possa favorire, in persone geneticamente predisposte, una alterata risposta infiammatoria che tende a mantenersi nel tempo.
I soggetti con malattia di Chron hanno una maggiore probabilità di sviluppare spondilite (2), soprattutto se presente HLAB27.
Entrambi i sessi sono colpiti in misura eguale e l’insorgenza della spondilo-artrite nelle IBD è osservabile ad ogni età.
Le manifestazioni reumatologiche più frequenti sono: la spondilite, l’artrite periferica e le tendiniti (entesiti).
L’artrite raramente precede le manifestazioni intestinali (3). Nella maggior parte dei casi l’artrite esordisce dopo la malattia infiammatoria intestinale.

QUADRO CLINICO

Vengono storicamente  individuati due pattern del coinvolgimento articolare nelle malattie infiammatorie croniche intestinali: l’artrite periferica (generalmente asimmetrica) e la spondilite con sacro ileite, del tutto simile alla Spondilite Anchilosante.
In entrambi i gruppi sono osservabili entesiti (infiammazione del tendine nel punto in cui si aggancia all’osso), sebbene si rilevino con maggior frequenza nella variante spondilitica.
Il coinvolgimento artritico periferico si localizza in poche articolazioni, soprattutto ginocchio o caviglia.

artrite di ginocchio in corso di malattia infiammatoria intestinale artrite di ginocchio

Nell’artrite associata alle malattie infiammatorie croniche intestinali possono verificarsi infiammazioni dell’occhio (uveite) o della pelle (eritema nodoso).
Nella maggioranza dei casi di artrite enteropatica non si sviluppano erosioni o deformazioni articolari.
Il coinvolgimento della colonna vertebrale (spondilite) nel corso di queste malattie è più frequente di quello periferico e non è clinicamente distinguibile da quello della Spondilite Anchilosante.
Quando l’artrite o la spondilite precedono i sintomi intestinali vi è una maggiore difficoltà diagnostica.

E’ bene eseguire in fase diagnostica alcuni esami, quali la Proteina C Reattiva (PCR) e la calprotectina fecale.

TERAPIA

L’artrite associata alle malattie infiammatorie croniche intestinali necessita di stretta collaborazione tra gastroenterologi e reumatologi per una migliore gestione del paziente.
Ad esempio: è meglio non impiegare i farmaci anti infiammatori non steroidei, a causa della loro tossicità gastrointestinale. Sono da preferire i cortisonici, nonostante la loro limitata efficacia.
La Sulfasalazina è stata impiegata nelle decadi passate, ma è ormai un farmaco superato.

I farmaci biotecnologici hanno maggiore efficacia sia sulle manifestazioni articolari che su quelle del Chron e della Rettocolite ulcerosa: pertanto sono oggi la scelta migliore.

In conclusione: una moderna terapia dell’artrite nelle malattie croniche intestinali si basa sull’impiego dei farmaci biologici perché questi sono efficaci su entrambe le manifestazioni patologiche.
Si rimanda al paragrafo sulla Spondilite Anchilosante la gestione della terapia con farmaci biologici.

BIBLIOGRAFIA
1. Holden W, Orchard T, Wordsworth P. Enteropathic arthritis. Rheum Dis Clin N Am 29 (2003) 513-530
2. Wordsworth P. Arthritis and inflammatory bowel disease. Curr Rheumatol Rep 2000;2.87-8
3. Orchard TR, Wordsworth P, Jewell DP. Peripheral arthropathies in inflammatory bowel disease: their articular distribution and natural history. Gut 1998;42(3):387-91

METHOTREXATE: efficace per la cura delle artriti

Il methotrexate è il farmaco che ha raccolto i maggiori consensi di provata efficacia terapeutica nell’Artrite Reumatoide, nella Psoriasi e nell’Artrite Psoriasica. E’ un vecchio farmaco impiegato in oncologia (a dosaggio elevato) e in reumatologia dagli anni ’80 (a dosaggio basso).

La posologia efficace varia tra 10 e 20 mg/settimana per bocca o per via sottocutanea.
Può essere validamente associato, con incremento di efficacia, alla Idrossiclorochina e ai farmaci biotecnologici.

Non usare methotrexate in gravidanza e in soggetti con epatite

Il farmaco è teratogeno in gravidanza ed è necessario porre in atto una appropriata contraccezione, nelle donne in età fertile, al fine di prevenire il danno embrionale e fetale. Se la donna desiderasse una gravidanza il MTX deve essere sospeso. Dopo 3 cicli mestruali è possibile che resti gravida senza rischi aggiuntivi.

L’assunzione contemporanea di alcoolici o FANS (anti-infiammatori non steroidei) può aumentare il rischio di danno epatitico.
L’epatite (con ipertransaminasemia) è estremamente frequente in soggetti portatori di epatite B (HBsAg) o epatite C (HCV-Ab). In questi pazienti ne è sconsigliato l’impiego.
Esami atti a svelare la presenza di queste epatiti vanno eseguiti prima di iniziare il farmaco.

Effetti collaterali possibili

In taluni pazienti l’intolleranza gastrica del farmaco (nausea e vomito) è frequente. Possono essere impiegati antiemetici se il sintomo è sopportabile, oppure il farmaco va sospeso.
Sono descritte riduzioni dei globuli bianchi o anemia, ma sono molto rari ai dosaggi convenzionali. In questi casi il farmaco va sospeso.
Non induce tumori a lungo termine ed è in genere ben tollerato.

Impiegando questo farmaco fin dalle fasi più precoci di malattia è possibile indurre remissioni anche di lunga durata e modificare il decorso dell’artrite.
E’ generalmente ben tollerato ed è gradita la singola assunzione settimanale. Deve essere associato acido folico.

Utile eseguire eseguire ogni 2-4 mesi il dosaggio delle transaminasi e l’esame emocromo completo.

Artrite Reumatoide VIDEO

Ho pensato di far cosa gradita registrare due video sull’Artrite Reumatoide

I sintomi ed il decorso dell’ artrite reumatoide con i criteri per porre diagnosi sono spiegati nel primo video. Vengono descritti i sintomi e l’evoluzione di questa malattia reumatica.

Nel secondo si parla invece della terapia per indurre la remissione di questa malattia reumatica infiammatoria. Si affrontano le indicazioni di impiego del methotrexate e dei farmaci biotecnologici. Vengono descritti i principali effetti indesiderati dei farmaci anti reumatici.

Video 1 Sintomi e Diagnosi

Video 2. Terapia

Perché in questi due video è contenuto un messaggio di speranza?

Negli anni ’80 e ’90 vedevamo molte persone con i segni invalidanti dell’artrite reumatoide di lunga durata, ma le cose sono poi cambiate.

Da oltre 20 anni, grazie alle campagne di informazione ai medici di famiglia, è stato possibile valutare i malati in fase precoce. Inoltre, sono arrivati in terapia i farmaci biologici. Questi hanno dimostrato una migliore efficacia rispetto alle terapie convenzionali. Tutto ciò ha così permesso di porre diagnosi in fasi precoci e di iniziare terapie in grado di indurre remissione.

La remissione è più facilmente raggiungibile nelle fasi precoci di malattia. Ciò impedisce o rallenta l’evoluzione distruttiva articolare.

Artrite in fase precoce

Video e foto originali del Dr. Roberto Gorla Reumatologia Spedali Civili di Brescia

La Polimialgia Reumatica

LA POLIMIALGIA REUMATICA
Dr. Roberto Gorla
guarda i VIDEO

La Polimialgia Reumatica (PMR) è una sindrome relativamente frequente.
Colpisce soggetti con età superiore a 50 anni.

Non è nota la causa.

E’ caratterizzata da insorgenza spesso acuta di dolore, rigidità e impaccio funzionale dei cingoli (collo, spalle, anche e cosce).

Vi è un imponente stato infiammatorio generalizzato (incremento di VES e PCR agli esami di laboratorio).

Sono colpiti sia uomini che donne. Presentano, in modo generalmente acuto, una grave compromissione delle condizioni generali con dolore importante alle spalle e gambe ed una intensa stanchezza. Si verifica una notevole riduzione della forza muscolare con incapacità a svolgere le comuni attività quotidiane (vestirsi, alzarsi dalla sedia o dal wc).
In alcuni casi si osserva febbricola, inappetenza e calo del peso corporeo.

Non è infrequente un gonfiore delle mani.
Questi sintomi allarmano notevolmente il malato e i familiari.

Fortunatamente la Polimialgia Reumatica migliora notevolmente con l’impiego del cortisone a dosaggio non elevato. Generalmente, in poche settimane si può osservare una spettacolare ripresa delle condizioni generali con risoluzione del dolore e ripristino della forza.
Affinché la terapia possa indurre una duratura remissione, va protratta per un lungo periodo di tempo (almeno un anno) senza mai sospensioni.
Si procede alla cauta riduzione della posologia del cortisone nel corso dei mesi, basandosi sui sintomi e sugli esami di laboratorio (normalità di VES e PCR).

NB LA DIAGNOSI NON VA RITARDATA! I sintomi sono tipici per cui vanno subito eseguiti esami per dimostrare lo stato infiammatore (PCR).

E’ un grave errore fare un breve ciclo con cortisonici e poi sospenderli. Ad ogni sospensione la malattia diviene più resistente alla terapia

A volte il cortisone non è in grado di indurre una remissione completa.
in altri si può verificare una recidiva della Polimialgia durante la riduzione della cura.
In questi casi può essere associato il farmaco Methotrexate che può, talvolta, permettere una più veloce riduzione del cortisonico.
Talora è necessario “aggiustare” la terapia anti-diabetica e trattare l’osteoporosi.
Sempre necessario l’apporto di vitamina D.

Regole d’oro per l’impiego di cortisonici:

– Assumere il farmaco solo al mattino, durante la colazione, per rispettare il ciclo circadiano dell’ormone;
– Bere molta acqua e ridurre il consumo di zuccheri (dolci)
– Seguire una dieta povera in calorie e ricca in verdure
– Mantenersi in movimento (passeggiate, cyclette, ginnastica)

Per diagnosticare la Polimialgia Reumatica bisogna escludere la presenza di neoplasie e infezioni quando il cortisone non risolve i sintomi.

NB. In circa il 15% dei malati, la Polimialgia Reumatica si associa ad una vasculite sistemica: l’ARTERITE TEMPORALE (a cellule giganti – di Horton).
FIGURA: tumefazione dell’arteria temporale

Questa condizione associata rende necessario un approfondimento diagnostico maggiore e un trattamento più “vigoroso”.
In aggiunta alla sintomatologia della PMR il malato lamenta intensa cefalea in corrispondenza delle tempie dove le arterie temporali si possono dimostrare tumefatte lungo il loro decorso e talvolta non è avvertibile il polso (la normale pulsazione).
In casi più gravi, dove la vasculite determina un ostacolo al flusso arterioso, possono manifestarsi disturbi della vista (a volte fino alla cecità) e dolore alla masticazione.
La complicazione oculistica, soprattutto, impone, per la gravità, una diagnosi tempestiva mediante l’esecuzione di una biopsia dell’arteria che dimostra la presenza (all’esame istologico) delle tipiche cellule giganti infiltranti la parete arteriosa.

Uno screzio di Polimialgia Reumatica può, in soggetti anziani, rappresentare l’esordio di Artrite Reumatoide. In questo caso i sintomi tipici della PMR si accompagnano a tumefazione dolorosa di articolazioni periferiche (polsi, dita delle mani, ecc) che può persistere nonostante l’impiego di cortisonici e la risoluzione della stanchezza e del dolore muscolare. In questi casi sarà necessario associare farmaci anti-reumatici quali il Methotrexate.

LA SCLERODERMIA

Cosa è la sclerodermia

La Sclerodermia è una malattia cronica, rara, caratterizzata da alterazioni vascolari, anomala attivazione del sistema immunitario e fibrosi (ispessimento) tissutale. La malattia può avere un’espressione sistemica con interessamento di diversi organi e apparati quali cuore, polmoni, reni, apparato gastroenterico, articolazioni e muscoli. La malattia può esordire a qualunque età, anche se la popolazione più interessata è quella di età compresa tra i 30 e i 50 anni. Il sesso femminile è generalmente più colpito, con un rapporto femmine/maschi pari a circa 3-5/1.

Articolo scritto da Dr.ssa Chiara Bazzani, Dr.ssa Maria Grazia Lazzaroni, Dr Paolo Airò

Quanti tipi di Sclerodermia esistono?

Esistono diversi tipi di sclerodermia. In primo luogo la malattia può essere differenziata in:

  1. una forma localizzata (morfea), che coinvolge solo la cute e non gli organi interni,
  2. una forma sistemica, detta anche Sclerosi sistemica.

A sua volta la Sclerosi Sistemica viene classificata, sulla base dell’estensione del coinvolgimento cutaneo, in:

  • una forma limitata, nella quale sono interessati il viso, le gambe sino al ginocchio e le braccia dalla mano sino al gomito,
  • una forma diffusa, definita dall’ interessamento della cute del tronco e di tutto l’arto superiore e inferiore

In entrambi i casi possono essere interessati gli organi interni.

Quali sono le cause della Sclerodermia?

Le cause della Sclerodermia sono ancora sconosciute. Per quanto esista una predisposizione del soggetto allo sviluppo della malattia, non si tratta di una patologia genetica, cioè trasmissibile in linea diretta ai discendenti.

Alla base dei complessi processi patologici vi è un’anomala attivazione del sistema immunitario, associata ad alterata deposizione di collagene e irregolare vascolarizzazione dei tessuti. L’aumentata produzione di collagene spiegherebbe l’ispessimento della cute, la sclerosi dei vasi sanguigni, la fibrosi a carico dei polmoni e l’irrigidimento delle pareti del tratto digerente. La riduzione del calibro dei piccoli vasi sanguigni determina riduzione del flusso di sangue che si può apprezzare a carico di mani e piedi. Le alterazioni a livello dei vasi sanguigni possono inoltre determinare alcune complicanze particolari a carico della funzione del cuore.

 Come esordisce?

Uno dei primi segni che si possono apprezzare in un paziente con Sclerosi Sistemica è dato da una alterazione della circolazione a carico delle estremità.
Questo disturbo è definito fenomeno di Raynaud. Consiste in una riduzione del flusso di sangue a livello delle dita delle mani e dei piedi. In seguito all’esposizione a basse temperature, queste zone corporee diventano inizialmente pallide, poi violacee ed infine rosse. Le alterazioni cromatiche possono accompagnarsi a sensazione di intorpidimento, formicolio e talvolta dolore.

fenomeno di Raynaud

Un’altra manifestazione clinica iniziale è data dalla comparsa di tumefazione a livello delle mani e dei piedi. Le dita interessate possono sembrare gonfie e la cute sovrastante può assumere un aspetto lucido e teso.

Come evolve?

La maggior parte delle persone affette dalla malattia presenta un ispessimento e un indurimento della pelle. In seguito all’irrigidimento della cute e dei tendini le articolazioni possono assumere una posizione contratta. Le articolazioni possono, inoltre, infiammarsi apparendo tumefatte, calde e possono essere sede di dolore.

Poiché il calibro dei vasi sanguigni si riduce, il flusso di sangue a livello periferico tende a divenire insufficiente a garantire un corretto trofismo della cute. Per tale motivo si possono formare ulcere dolenti, specialmente a livello delle dita delle mani e dei piedi, che possono andare incontro a sovrainfezioni. È importante che il paziente avverta i curanti tempestivamente in caso di nuova insorgenza di ulcere. In tali casi è infatti importante avviare quanto prima una terapia adeguata che permetta di limitare l’evoluzione del danno ischemico ulcerativo.

ulcere digitali

Alcune persone affette da sclerodermia presentano sulla cute piccoli depositi di calcio (calcinosi), che possono andare incontro a fissurazione, con liberazione di materiale biancastro (di natura non purulenta o infetta). La cute dei pazienti sclerodermici può infine caratterizzarsi per la comparsa di teleangectasie, dilatazioni dei vasi sanguigni, visibili come piccole lesioni piane, rosso-brunastre, che si possono presentare a livello del viso e delle mani.

L’interessamento degli organi interni
è piuttosto variabile e può essere molto diverso da soggetto a soggetto.

  • Interessamento gastroenterico: è dovuto a disfunzione ed alterata motilità del tubo digerente, che diventa rigido e fibroso. I pazienti possono progressivamente lamentare difficoltà alla deglutizione, reflusso gastroesofageo, senso di pienezza e di sazietà precoce, crampi addominali, stipsi e diarrea.
  • Interessamento polmonare: è caratterizzato da difficoltà respiratoria associata a tosse secca, specialmente durante l’esecuzione di esercizio fisico e sforzi, ed è giustificato dalla presenza di infiammazione (alveolite) e secondaria fibrosi delle strutture polmonari. I disturbi respiratori in alcuni casi possono poi essere giustificati da un’aumentata pressione a livello dei rami dell’arteria polmonare, con ripercussioni a carico della capacità di ossigenazione del sangue e della funzione cardiaca.
  • Interessamento cardiaco e renale: in corso di sclerodermia si possono verificare alterazioni del ritmo cardiaco (aritmie), secondarie a fibrosi delle strutture del cuore, e rialzi pressori correlati ad alterazione, in alcuni casi rapidamente progressiva, della funzione renale.

La Sclerodermia ha una evolutività molto variabile e può essere caratterizzata da fasi di attività a periodi di remissione. Per quanto riguarda l’evoluzione, ogni caso rappresenta un “unicum”: si va da forme lievi con interessamento prevalentemente cutaneo e prognosi favorevole, a forme severe con interessamento progressivo degli organi interni.

Come si diagnostica e si monitora?

 Oltre alle caratteristiche cliniche appena descritte, esistono dei parametri di laboratorio che possono aiutare a formulare la diagnosi corretta di Sclerodermia.

laboratorio

Gli anticorpi antinucleo (ANA) sono autoanticorpi rilevabili nel sangue dell’85-95% dei pazienti affetti da Sclerosi sistemica. Una particolare sottopopolazione di ANA, gli anticorpi anti centromero, rappresenta un tipico marcatore della forma limitata di malattia, presente nel 20-40% dei malati, principalmente dei soggetti affetti da forma limitata (60-90%). Gli anticorpi anti-Scl70 (o anti-topoisomerasi I), invece sono prevalenti dei pazienti con sclerosi sistemica diffusa (60-80%). Più recentemente sono stati identificati altri autoanticorpi, marcatori di sclerosi sistemica, riscontrati in una quota minore di pazienti (anti-RNA polimerasi III, anti-fibrillarina, anti Th/To, anti PM-Scl, anti-Ku). Una precisa caratterizzazione di questi anticorpi è di fondamentale importanza poiché la positività di uno o dell’altro fattore non solo è connessa con un diverso tipo di malattia, ma correla anche con una diversa prognosi.

esami strumentali

la capillaroscopia è un esame centrale per evidenziare eventuali alterazioni dei piccoli vasi sanguigni che irrorano le regioni periferiche delle mani e che sono generalmente presenti dei pazienti con fenomeno di Raynaud secondario a Sclerodermia. Mentre la radiografia (e quando necessario la TC ad alta risoluzione) del torace possono mostrare possibili alterazioni della struttura polmonare, la spirometria e il test del cammino (test dei 6 minuti) possono mettere in luce alterazioni della funzione respiratoria. Unitamente, questi 4 esami strumentali permettono di monitorare in maniera completa e globale l’interessamento polmonare della malattia. Le indagini più utili per monitorare l’interessamento cardiaco sono l’elettrocardiogramma (standard e dinamico nelle 24 ore) e l’ecocardiogramma, che generalmente viene ripetuto con cadenza annuale in tutti i pazienti affetti da Sclerodermia. In alcuni casi selezionati viene eseguito il cateterismo cardiaco, un test invasivo che permette di studiare la pressione all’interno delle camere cardiache per meglio definire i casi sospetti per ipertensione polmonare. Lo studio radiologico della deglutizione e la manometria esofagea permettono infine di documentare alterazioni funzionali a carico delle vie digerenti.

Come si può curare?

Ancora non esiste una terapia capace di cambiare radicalmente l’evoluzione della malattia. Esistono tuttavia farmaci che cercano di modificare i meccanismi che stanno alla base della patologia stessa.

  • Farmaci antidolorifici: spesso necessari per il dolore articolare o correlato alla presenza di ulcere ischemiche.
  • Farmaci vasodilatatori: si tratta di principi attivi che hanno la capacità di dilatare i vasi sanguigni, permettendo una migliore vascolarizzazione dei tessuti. Vengono somministrati per via orale, transcutanea o endovenosa e contrastano la vasocostrizione tipica della malattia sclerodermica.
  • Farmaci immunosoppressori: interferiscono con l’anomala attivazione del sistema immunitario. Risultati favorevoli sono stati descritti con il methotrexate per il controllo della sclerosi cutanea e delle forme infiammatorie articolari. Il micofenolato mofetile è utile per il trattamento dell’infiammazione polmonare (alveolite).
    In alcuni casi è inoltre possibile avviare terapia biotecnologiche di secondo livello, come tocilizumab o rituximab. Questi sono anticorpi monoclonali diretti a bloccare specifici bersagli infiammatori, causa di infiammazione polmonare, cutanea, articolare.
    In casi selezionati è poi possibile l’impiego di ciclofosfamide.
    Il cortisone, se necessario, va impiegato a basse dosi, perchè a dosi elevate può  indurre aumentato rischio di alterazioni acute e severe della funzione renale, in particolare nei pazienti con malattia di recente insorgenza.
  • Farmaci antifibrotici: un nuovo farmaco anti-fibrotico (nintedanib) ha acceso nuove speranze. Questo, associato preferibilmente a micofenolato mofetile, è in grado di limitare l’evoluzione della fibrosi polmonare secondaria a sclerodermia.
  • Altre terapie: l’interessamento gastro-intestinale si giova di farmaci che promuovano un regolare svuotamento gastrico e intestinale e riducano l’acidità gastroesofagea.

Altri consigli

L’interessamento cutaneo, oltre a quanto già detto, va gestito prevalentemente seguendo opportune norme di igiene quotidiana.

a. non fumare (il fumo agisce come potente vasocostrittore, peggiorando la circolazione del sangue)
b. limitare l’esposizione alle basse temperature
c. mantenere una corretta idratazione cutanea applicando costantemente prodotti emollienti
d. praticare regolarmente esercizi fisici per mantenere la cute flessibile e le articolazioni mobili, e per migliorare il flusso di sangue alle estremità.

Nel caso di ulcere cutanee, si rendono necessarie medicazioni specifiche che garantiscano una più rapida riparazione del danno e che limitino il rischio di infezioni sovrapposte. Medicazioni inadeguate rischiano di allungare i tempi di guarigione e di promuovere danni permanenti.

Come per la cute, anche il coinvolgimento polmonare può giovarsi di opportune tecniche di fisioterapia. La ginnastica respiratoria infatti è consigliata a tutti i pazienti affetti da sclerodermia a prevalente interessamento polmonare, per migliorare l’espansione toracica e facilitare le dinamiche respiratorie.

L’assistenza psicologica può essere presa in considerazione quale parte integrante del percorso di cura, come per ogni malattia cronica rara.

Nel caso in cui la diagnosi di Sclerodermia venga posta in giovani donne, è possibile per loro intraprendere una gravidanza?

 Ad oggi per le giovani donne affette da Sclerodermia è possibile intraprendere una gravidanza di successo nella maggior parte dei casi. Devono essere regolarmente seguite in un ambulatorio multidisciplinare reumatologico-ginecologico/ostetrico. La consulenza pre-concezionale costituisce infatti un momento fondamentale nella pianificazione di una gravidanza e ne aumenta le possibilità di successo.

Da un punto di vista ostetrico, esiste infatti un possibile aumento della frequenza di alcune complicanze, in particolare di parto pretermine. Tali rischi dovrebbero essere opportunamente valutati e quantificati prima di intraprendere la gravidanza.

Dal punto di vista reumatologico è bene considerare il possibile coinvolgimento cardiaco e polmonare. Inoltre vanno considerati i potenziali effetti della terapia farmacologica che deve essere compatibile con la gravidanza.

Durante la gravidanza e nel periodo successivo al parto, le pazienti dovrebbero quindi ricevere un regolare monitoraggio delle condizioni materne e fetali. Questo si attua con visite, esami di laboratorio ed esami strumentali, sempre nell’ambito di un ambulatorio dedicato multidisciplinare.

LA SINDROME DI SJOGREN

La Sindrome di Sjogren è una malattia cronica e autoimmune, caratterizzata da una lenta infiammazione delle ghiandole esocrine e anomala attivazione del sistema immunitario. Questo conduce ad una progressiva perdita di funzione ghiandolare e alla produzione di specifici autoanticorpi.

La malattia può talvolta coinvolgere diversi organi e apparati, ma prevalentemente si caratterizza per secchezza degli occhi, secchezza del cavo orale e secchezza di altre mucose (a livello nasale, tracheale, bronchiale e genitale).

Questa malattia puo’ essere diagnosticata come isolata, o associata ad altre malattie autoimmuni sistemiche, come l’Artrite Reumatoide, Lupus Eritematoso Sistemico, o la Sclerosi Sistemica.
L’esordio può avvenire a qualunque età, anche se la popolazione più interessata è quella di età compresa tra i 30 e i 50 anni. Le donne ne sono colpite in misura 9 volte maggiore degli uomini.

Quali sono le cause?

Le cause sono ancora sconosciute. Esiste una predisposizione del soggetto allo sviluppo della malattia, ma non si tratta di una ereditarietà genetica mendeliana.

 Come esordisce la Sindrome di Sjogren?

 La malattia può iniziare in modo molto variabile, ma la maggior parte dei pazienti riferisce:

  • sensazione di fastidio agli occhi, come da “corpo estraneo” o “sabbia” o bruciore oculare
  • peggioramento delle carie dentali
  • sensazione di secchezza della bocca, soprattutto quando si parla, con urgenza di bere o masticare qualcosa per stimolare la salivazione
  • ripetuti episodi di gonfiore dolente alle parotidi  o dolore in tali sedi (posteriormente alle orecchie) durante la masticazione
  • stanchezza intensa, cronica, non motivata da eventi esterni/ambientali
  • dolore articolare (talora con gonfiore)
  • porpora alla cute degli arti inferiori

E’ semplice diagnosticare questa malattia?

Nella maggior parte dei casi sì.
I pazienti si rivolgono all’Oculista, che diagnostica una secchezza oculare, eseguendo dei semplici test che dimostrano una ridotta lacrimazione.
Quindi il paziente viene indirizzato ad eseguire alcune indagini di laboratorio.

 Non esiste un esame singolo, che permette di arrivare alla diagnosi di malattia, ma un un insieme di elementi clinici e di laboratorio.

  • Anamnesi con domande mirate: percezione di occhi secchi? Da quanto tempo? Uso frequente di lacrime artificiali? Da quanto tempo vi è la sensazione di bocca asciutta? Episodi di gonfiore delle parotidi? Bisogno di bere spesso?
  • Esami ematici: emocromo, elettroforesi proteica, VES, PCR, esame urine, creatinina
  •  Autoanticorpi: ricerca di ANA, anti-ENA,
  • Test oculistici: test di Shirmer (che valuta la quantità di lacrime), test al Rosa Bengala  e verde di Lissamina (che studia l’integrità della superficie corneale)
  • Eventuale biopsia delle ghiandole salivari minori, che mostra la presenza di un infiltrato di linfociti nelle ghiandole salivari

Gli anticorpi antinucleo (ANA) sono autoanticorpi rilevabili nel sangue del 85-95% dei pazienti affetti da Sindrome di Sjögren e vengono eseguiti da prelievo di sangue e processati in molti laboratori sul territorio e ospedalieri.
Caratteristica peculiare è la positività ANA e per per anticorpi anti-ENA, in particolare anti-Ro/SSA (70%) e anticorpi anti-La /SSB (40 %)
In aggiunta, i pazienti spesso presentano alterazioni di altri esami ematochimici: lieve leucopenia, aumento delle gammaglobuline, positività per Fattore Reumatoide.

Quale l’evoluzione nel tempo?

La maggior parte delle persone presenta un quadro stabile di malattia, caratterizzato da secchezza della bocca e degli occhi (più del 90% dei casi).
Molti pazienti lamentano stanchezza cronica (80%), disturbi del sonno (60%), o disturbi di concentrazione correlati alla stanchezza, che limitano lo svolgimento delle attività quotidiane diurne (stimato fino a 7 pazienti su 10) e possono indurre uno stato di sconforto soggettivo.
Alcuni pazienti possono invece presentare un interessamento extra-ghiandolare, che coinvolge diversi organi e apparati.

Quali medici servono al malato di Sindrome di Sjogren?

La figura del Reumatologo è centrale per la diagnosi e il monitoraggio della malattia nei suoi diversi aspetti, oltre che per coordinare altre figure professionali importanti (ad esempio: Oculista e/o Ginecologo).

Le visite reumatologiche, almeno annuali, mirano a evidenziare:

  1. i disturbi locali connessi con la secchezza orale, con difficoltà nella deglutizione, digestione e reflusso gastroesofageo (40-45% dei casi); frequenti episodi non controllati di gonfiore delle parotidi
  2. l’eventuale interessamento sistemico della malattia
  3. l’evoluzione dell’assetto degli autoanticorpi.

L’interessamento sistemico

Definito come extra-ghiandolare, non è molto frequente e può coinvolgere molti organi/apparati singolarmente o contemporaneamente:

  • artrite alle piccole articolazioni (mani e piedi), simile all’artrite reumatoide (20%),
  • lesioni cutanee da fotosensibilità (cioè tendenza a reazioni solari) e lesioni cutanee da vasculite ricorrenti,
  • formicolio localizzato alle estremità (neuropatia sensitiva) (30%),
  • tosse stizzosa e/o difficoltà respiratorie, dovuta a secchezza della mucosa respiratoria o ad un vero e proprio coinvolgimento polmonare,
  • alterata digestione con alterazione della funzionalità del fegato,
  • alterazione dell’esame urine (proteinuria o microematuria), con manifestazioni cliniche correlate,
  • mialgie o debolezza muscolare (secondario a perdita urinaria di sali minerali o da una vera e propria miosite associata).

Evoluzione dell’assetto degli autoanticorpi: ad ogni visita annuale o bi-annuale i pazienti ripetono gli esami immunologici, includenti anticorpi anti-DNA, ENA, dosaggio delle proteine del complemento, antifosfolipidi, per escludere che la malattia di Sjogren si “arricchisca” di altre caratteristiche che possano condurre ad un LES, evento possibile durante il follow-up.
Dagli esami ematochimici si tiene monitorato il livello di immunoglobuline circolanti, che talvolta possono aumentare e mutare in senso monoclonale. Un rischio, infatti, della malattia è che possa evolvere in una malattia ematologica (es: mieloma).

Che terapie ci sono?

Per quanto ad oggi non esista una terapia specifica per la malattia, vi sono molte strategie terapeutiche.

  • Lacrime artificiali di diversi tipi e composizioni, che proteggono la superficie dell’occhio
  • Sostituti salivari o accorgimenti per mantenere umettata la bocca, corretta igiene orale
  • Protezione dai raggi del sole con creme idonee
  • Eventuali farmaci immunomodulanti (idrossiclorochina) o basse dosi di cortisone, per i sintomi extra-ghiandolari più lievi
  • Farmaci immunosoppressori per i casi di interessamento d’organo più severo (methotrexate, micofenolato mofetile, azatioprina); cicli di immunoglobuline endovena

Quali strategie per migliorare la qualità di vita?

Secchezza oculare

L’occhio secco è un disturbo che va gestito con l’uso di lacrime artificiali, e con strategie quotidiane:

  • Evitare ambienti molto secchi (limitare l’uso di condizionatori o ventilatori), ambienti polverosi o con fumatori
  • Cercare di evitare i farmaci che peggiorano la secchezza (di occhi e bocca), come gli anti-depressivi, alcuni anti-ipertensivi o anti-istaminici
  • Provare ad ammiccare spesso, specie se si trascorre molto tempo davanti ai videoterminali o durante la lettura
  • usare occhiali protettivi la luce solare
  • eventualmente usare lacrime artificiali o lubrificanti anche di notte
  • evitare l’uso di lenti a contatto o eventualmente lenti a contatto confortevoli.

Secchezza orale

La bocca secca è un sintomo fastidioso per cui ci sono pochi farmaci efficaci: uno di questi puo’ essere la pilocarpina, che stimola la produzione di saliva
Diversi tipi di rimedi possono essere però considerati:

  • sostituti salivari (gel, Spray orali)
  • corretta igiene orale
  • caramelle o chewing-gum specifiche (senza zucchero) che stimolano la salivazione
  • adeguata idratazione durante il giorno (bere 8 bicchieri al giorno di acqua) e piccoli sorsi d’acqua durante la masticazione
  • usare creme emollienti per le labbra, contenenti vitamina E, che evitano la comparsa di cheilite angolare,
  • incrementare l’umidità degli ambienti di casa, specialmente di notte.

 Sindrome di Sjogren e gravidanza

Dato che la sindrome di Sjögren è più frequente nelle donne, non è infrequente che pazienti con questa patologia si trovino ad affrontare una gravidanza.
Premesse fondamentali sono:

  • che la paziente affronti questo percorso in un momento in cui la malattia reumatica sia in remissione,
  • stia assumendo farmaci compatibili con la gravidanza
  • che venga seguita in un ambulatorio dedicato con reumatologo e ginecologo.

In generale questa malattia non peggiora durante la gravidanza. E’ tuttavia noto come gli anticorpi materni anti-Ro/SSA e anti-La/SSB, passando la placenta, possano interagire con il feto e, seppur raramente, causare uno spettro di complicanze note come lupus neonatale. Le possibili alterazioni comprendono rash cutaneo transitorio, ma sono molto rare patologie epatobiliari e complicanze ematologiche.

Molte di queste manifestazioni si risolvono nei primi 6-9 mesi di vita, quando gli anticorpi materni vengono fisiologicamente eliminati dalla circolazione del bambino. Un discorso a parte merita il cosiddetto blocco cardiaco congenito, un evento raro che si manifesta in circa l’1-2% dei neonati nati da madri con autoanticorpi positivi.

Questa condizione può determinare gradi diversi di alterazione del ritmo del cuore, da forme lievi a forme gravi che mettono a rischio la sopravvivenza del feto e poi del bambino dopo la nascita.
La diagnosi precoce viene fatta controllando frequentemente il battito cardiaco fetale (circa una volta ogni 7/15 giorni), tra la 16a e la 28a settimana di gravidanza, in modo da poter intervenire subito se vengono notate alterazioni.
La cura consiste nel somministrare alla mamma un particolare tipo di cortisone in grado di attraversare la placenta; ed eventualmente l’idrossiclorochina, che sembra ridurre il rischio di sviluppo del blocco cardiaco congenito.

Questo articolo è stato scritto da
Dr.ssa Ilaria Cavazzana e Dr.ssa Cecilia Nalli
Reumatologia e Immunologia Clinica ASST Spedali Civili di Brescia

Per approfondimenti:

http://www.sjogrens.org

https://www.reumatologia.it/obj/files/GruppiStudio/finalePTDA2.pdf

https://youtu.be/DNPYv-ZtOyY

La soddisfazione di essere medico

Essere medico può essere di grande soddisfazione.

Forse il più grande complimento che ho ricevuto nella mia vita mi è stato fatto quando avevo 44 anni da un uomo di 84 anni. Un giorno, al termine di una delle tante visite, mi ha detto: – Le confido dottore che quando vengo da lei provo la sensazione di tornare da mio padre. Lei mi ascolta, mi capisce e mi sento protetto.
Mi ha fatto pensare, anche se confesso di non aver subito compreso il senso di tale frase.
Ritengo che il ruolo più bello e importante sia fare il padre. Ho quattro figlie e questo ruolo lo conosco bene. Si chiama responsabilità. La responsabilità di dare un esempio affinché loro imparino a costruire un mondo d’amore, solidarietà, prosperità. Ci vuole impegno. Basta fare una scelta consapevole e applicare continuamente tutta la volontà per esserne conseguenti.
Donare sicurezza, piccole certezze, consolazione e di rimando essere amato incondizionatamente, significa essere un buon padre.
Non importa se ero tanto più giovane di quell’uomo che, purtroppo, ci ha lasciati.
Mi vedeva come padre solamente perché avevo agito con lui da medico.
Io voglio essere un medico, per scelta di vita, in ogni momento, senza distinzione tra ruolo pubblico e privato. Mi sforzo di essere un appiglio consolatore per chiunque incontro in affanno per le turbolenze della vita.
Quando una persona si ammala, specie di una malattia cronica dolorosa, riscopre molte paure e incertezze di quando era bambino. La scienza oggi propone terapie, importanti sicuramente, ma esse non sono mai una cura. I farmaci sono uguali per tutti, ma ogni persona è diversa. La diversità dipende in gran parte dal proprio vissuto, dal diverso modo di vivere la propria malattia nel contesto delle proprie abitudini, affetti, autostima.
Un medico che si vuole comportare da padre ascolta il proprio malato con partecipazione ed è capace di compassione. Applica le conoscenze della scienza, ma ne conosce i limiti ed agisce consapevolmente di conseguenza. Dare disponibilità ad essere contattato facilmente e favorire che questa persona si confronti con altre che hanno medesimi problemi può contribuire a ridurre le incertezze e le paure. Confessare di non sapere, ma garantire di fare ogni cosa per meglio capire, è onesto e rassicurante.
Questo vuol dire essere medico, non per diploma, ma per vocazione e impegno a resistere ad un mondo impersonale e complicato che spesso fa vacillare ogni buona volontà.

Per la soddisfazione di essere medico, l’umanizzazione della medicina dovrebbe essere un corso importante degli studi universitari in medicina.

  vi consiglio questa lettura

Io sono la mente e il corpo è il veicolo per portarla in giro
Rita Levi Montalcini

Ho trovato il senso della mia vita aiutando altri a trovare il senso della loro vita
Viktor Frankl

 

La gravidanza nell’artrite

Molte conoscenze sono oggi mutate per quanto concerne la gravidanza nell’artrite.
La gravidanza nell’ artrite reumatoide ha una elevata probabilità di essere un magico periodo senza o con poca artrite (oltre il 70% dei casi). 
Purtroppo si tratta solo di un periodo che generalmente sfuma dopo il parto. Il puerperio rappresenta infatti un momento fortemente a rischio di recidiva dell’artrite perché, spesso, si presenta più “cattiva” (attiva) di quanto non fosse precedentemente la gravidanza.

Nel passato, dopo il parto si determinava spesso la necessità di incrementare la terapia anti-reumatica e quindi di sconsigliare l’allattamento e inibire la lattazione. Inoltre veniva spesso sconsigliato di intraprendere una gravidanza per non interrompere la terapia con i farmaci anti-reumatici potenzialmente dannosi per il feto.

Cosa fare

Tutti siamo concordi sul fatto che la gravidanza vada affrontata in un momento in cui l’artrite sia in remissione o scarsamente attiva. Ciò si realizza, quasi sempre, assumendo farmaci anti-reumatici.
Purtroppo i farmaci più efficaci, utilizzati prima della gravidanza, devono essere sospesi perché teratogeni (possono determinare malformazioni embrionali o fetali). Sia il Methotrexate che l’Arava (due tra i più efficaci farmaci anti-artrite) sono teratogeni e incompatibili con una gravidanza nell’artrite.

I farmaci vietati e quelli possibili

Il methotrexate deve essere sospeso almeno 3 mesi prima di una gravidanza, assumendo quotidianamente acido folico fino alla gravidanza e per tutta la sua durata. 

Leflunomide rimane dosabile nel plasma del soggetto fino a due anni dopo la sospensione del farmaco! Ciò impone che dopo la sospensione di Arava la donna proceda, come da indicazione sul foglio illustrativo del farmaco, a wash-out con Colestiramina.

Per altri farmaci, come Plaquenil, Sandimmun Neoral e Salazopyrin non vi sono evidenze di teratogenicità e possono essere quindi assunti prima della gravidanza. Questi farmaci tuttavia non hanno una significativa efficacia e sono attualmente poco usati per la cura dell’artrite.

Il cortisone, a bassa posologia (deltacortene 5 mg/die) può essere assunto in gravidanza, non raggiunge il feto, perchè non attraversa la placenta che ha sistemi enzimatici per la sua inattivazione.

Gli anti-infiammatori non steroidei dovrebbero essere evitati, almeno per assunzioni di lungo periodo. La Tachipirina (Paracetamolo) può essere utilizzata in gravidanza nei periodi di dolore non tollerato.

I farmaci biologici anti-TNF sono classificati dalla FDA come non teratogeni. Questi hanno una capacità di controllare l’artrite superiore a qualsiasi altro farmaco anti-reumatico.  In particolare esistono studi che dimostrano una sicurezza di impiego accertata in corso di gravidanza per il certolizumab, farmaco anti-TNF-alfa caratterizzato da un trasferimento placentare pressoché trascurabile. Sulla base di questi dati l’Agenzia europea del farmaco (EMA) nel 2018 ha approvato l’indicazione di impiego di certolizumab nelle donne in gravidanza.

Farmaci di più recente impego nell’ambito della cura dell’artrite cronica (apremilast, tofacitinib, baricitinib, upadacitinib, filgotinib) non dispongono di dati clinici che ne consentano l’utilizzo in caso di gravidanza e allattamento.

Scarica opuscolo “pianificazione familiare” della Società Italiana di Reumatologia


Figura 1.Farmaci ammessi e farmaci sconsigliati in gravidanza

FARMACI BIOLOGICI BIOSIMILARI

I farmaci biologici biosimilari sono la novità di questi ultimi 6 anni. Questi farmaci hanno notevolmente mutato l’approccio terapeutico dei malati affetti da poliartrite. Si sono dimostrati estremamente efficaci nel ridurre i sintomi e l’evoluzione del danno articolare caratteristico di queste artriti. Molti malati affetti da artrite reumatoide, artrite psoriasica, spondilite anchilosante e da alcune malattie rare hanno beneficiato dall’impiego di questi farmaci.

I costi elevati dei farmaci biotecnologici sono sempre stati un limite al loro impiego e per ciò vengono dispensati esclusivamente in centri ospedalieri autorizzati al loro impiego.

Sono scaduti i brevetti e la concorrenza ha abbattuto i prezzi

Dopo molti anni dal primo utilizzo, i brevetti di alcuni di questi farmaci biologici sono scaduti ed altri scadranno a breve. La concorrenza tra aziende farmaceutiche ha portato a produrre molecole con le medesime caratteristiche chimiche (principio attivo) di quelle con brevetto scaduto.
Questi farmaci sono stati denominati biosimilari e tuttavia hanno le medesime caratteristiche farmacologiche di quelli brevettati 20 anni fa.
Il costo di questi farmaci biologici biosimilari è notevolmente inferiore, per cui consente un importante risparmio per il sistema sanitario.

Facciamo un esempio: dal 2000 al 2015 il costo annuo per curare una persona con farmaci biologici era di circa 12.000 Euro. Ora la cura con i farmaci biologici biosimilari ha un costo inferiore a 1.000 Euro/anno. La differenza è significativa.

La nostra esperienza

A partire da maggio 2015 presso il nostro centro di Reumatologia impieghiamo, nei malati da noi seguiti, i farmaci biologici biosimilari.
Ad oggi abbiamo a disposizione le molecole biosimilari di Infliximab, Rituximab, Etanercept e Adalimumab.
Possiamo confermare che questi farmaci hanno la medesima efficacia clinica e sicurezza di impiego dei farmaci biologici originatori.

In conclusione possiamo affermare che il considerevole risparmio di risorse economiche, grazie all’impiego di farmaci biologici biosimilari,  ha permesso di curare un maggior numero di malati e di poter anche impiegare i farmaci di più recente ingresso in terapia.

Affido ad un video questo argomento