MA.R.I.C.A
Malattie Reumatiche Infiammatorie Croniche e Autoimmuni
2010
EFFETTI
DELLE MALATTIE AUTOIMMUNI SULLA GRAVIDANZA Servizio di Reumatologia e Immunologia Clinica - Reparto di Ginecologia e Ostetricia 1, Ospedale Civile di Brescia |
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Oggi molte donne con malattie autoimmuni sistemiche portano a termine con successo la gravidanza. Tuttavia, al di là di quello che implichi per la salute materna, l'esito della gravidanza in queste pazienti è soggetto a rischi particolari legati all'effetto delle malattie stesse o delle loro espressioni sullo sviluppo del feto. Questi rischi sono così concreti che in un passato poi non del tutto remoto era relativamente poco frequente che donne con malattia autoimmune sistemica pianificassero una normale vita di famiglia. Lo sforzo di questi ultimi 20 anni è stato quello di identificare e, quando possibile, di prevenire, nell'ambito di questa patologia, le cause di insuccesso ostetrico e cioè di aborto, morte endouterina del feto, prematurità e patologia neonatale. E' evidente che il lavoro di prevenzione e sorveglianza si configura come lavoro congiunto multidisciplinare, con la imprescindibile partecipazione di una équipe ostetrica dedicata. Storicamente, i principali fattori di rischio sono: la presenza di malattia all'esordio o in fase attiva, la presenza di anticorpi antifosfolipidi, la presenza di anticorpi anti-Ro/SS-A. La attività e il tipo di malattia Fortunatamente è oggi assai raro che una paziente
con malattia autoimmune sistemica sia indotta ad un aborto terapeutico
per la sua malattia, pertanto la osservazione prospettica delle gravidanze
ha portato ad una valutazione realistica dell'effetto della patologia
di per sé e del suo andamento sull'esito fetale. Le gravidanze che decorrono in pazienti con lupus sistemico registrano una percentuale di aborti e morti endouterine del feto più alto che di norma(1). Che questo dato sia da imputare alla presenza di malattia attiva nella madre è sostenuto da taluni autori(2,3), mentre un recente lavoro di metanalisi dei dati disponibili in letteratura(4) mette in evidenza che non esistono significative differenze tra pazienti con malattia attiva e non attiva, quasi che, nell'ambito della malattia lupica, altre cause, diverse dalla attività di malattia, giuochino un ruolo preminente nel determinare la patologia gravidica. Nel caso di lupus renale, specie se attivo, la prognosi fetale pare molto più severa con 46% e 30% di insuccessi riportati da studi retrospettivi(5,6). Il rischio appare più elevato in pazienti con malattia attiva e funzione renale compromessa(7), mentre soggetti con malattia stabilizzata e funzione renale discretamente conservata hanno, nella nostra esperienza, una prognosi riproduttiva non particolarmente alterata(8). Gli
anticorpi antifosfolipidi Nella malattia lupica la presenza di anticorpi antifosfolipidi è stata valutata come il miglior fattore predittivo di insuccesso ostetrico(11) . Questa stringente associazione ha portato alla descrizione, prima nell'ambito del lupus e, successivamente, in soggetti altrimenti sani, di una sindrome caratterizzata tra l'altro da aborti ricorrenti(12). Gli anticorpi antifosfolipidi sono una famiglia eterogenea di anticorpi diretti, per lo più, verso proteine che legano i fosfolipidi(13), che in vivo si associano a ricorrenti fatti trombotici per riconosciuto effetto trombofilico. I metodi di laboratorio utilizzati routinariamente nella loro valutazione sono il lupus anticoagulant, il test ELISA degli anticorpi anti-cardiolipina e il test ELISA degli anticorpi anti beta 2 glicoproteina I. Al di là di ogni possibile dubbio sulla loro fine
specificità, numerosi modelli
sperimentali hanno dimostrato che questi anticorpi sono in grado di causare
perdita fetale(14). Gli ipotizzati
meccanismi patogenetici del danno fetale sono molteplici ed è suggestiva,
a questo proposito, la documentata
inibizione della annessina V da parte del complesso beta 2 glicoproteina
I e rispettivo anticorpo(15) recentemente descritta. Da quanto si è detto risulta chiaro che la presenza di questi anticorpi costituisce di per sé un rischio concreto per la gravidanza indipendentemente dal contesto della malattia materna nella quale siano rilevati. Per tale motivo , da quando questi anticorpi sono stati identificati la strategia terapeutica è stata quella di limitarne le conseguenze o inibendone la sintesi, come originariamente era stato prospettato(16), o, più recentemente, contrastandone l'effetto trombofilico con l'uso di farmaci anticoagulanti o antiaggreganti(17). Quello che è certo è che l'esito della gravidanza, estremamente povero in queste pazienti, è stato completamente sovvertito dopo la individuazione della sindrome. Resta da stabilire quanto a questo cambiamento abbia contribuito la farmacoterapia e quanto invece abbia contribuito la politica di attenta sorveglianza ostetrica che ha temporizzato meglio il momento del parto. Tuttavia il fatto che nel gruppo di bimbi nati vivi, sia stata individuata da noi e da altri(18) una significativa percentuale di prematuri, lascia supporre che un ruolo significativo sia stato svolto appunto dalla sorveglianza ostetrica e dalle risorse della terapia intensiva neonatale (figura 1).
Figura 1- Esito della gravidanza prima e dopo la diagnosi di APS (ed il conseguente follow-up) Anticorpi
anti Ro/SS-A Nel counseling della paziente con patologia autoimmune che vuole intraprendere una gravidanza deve essere obbligatoriamente inclusa la ricerca degli anticorpi anti Ro/SS-A e anti La/SS-B. Questi anticorpi di frequente riscontro nelle malattie reumatiche autoimmuni espongono il neonato al rischio del così detto lupus neonatale(19). Questo è una sindrome caratterizzata dal verificarsi di manifestazioni transitorie quali rush cutaneo fotosensibile, epatopatia colestatica, citopenie e della temuta manifestazione permanente del blocco cardiaco congenito. I sintomi di lupus neonatale possono verificarsi singolarmente o in associazione tra loro. Il blocco cardiaco congenito, che è la manifestazione più studiata tra quelle sopra esposte è stato correlato alla presenza di anticorpi anti Ro/SS-A materni in base all'osservazione che la larghissima maggioranza delle madri di bambini affetti risulta positiva agli anticorpi. Inoltre il periodo in cui il blocco diviene rilevabile in utero, corrispondente ad un epoca gestazionale tra le 18 e le 22 settimane, coincide con il periodo di un consistente passaggio transplacentare di immunoglobuline(20). Queste deduzioni hanno trovato conferma in modelli sperimentali(21) . Nonostante quanto detto, per una paziente con malattia
autoimmune anti Ro/SS-A positiva, è tutt'altro che chiara la quantificazione
del rischio di avere bimbi affetti da blocco cardiaco congenito.
In effetti la letteratura dedicata, invero non molto ricca, va dal riscontro
di una frequenza del 5% in uno studio retrospettivo in pazienti con malattia
autoimmune e anticorpi anti Ro/SS-A(22) a un riscontro di
0% di frequenza in uno studio prospettico condotto solo su pazienti
con lupus sistemico e anticorpi anti Ro/SS-A(23) . La scarsa
concordanza dei risultati ha portato a focalizzare taluni aspetti della
reattività anticorpale quali la fine specificità verso componenti dell'antigene
Ro, il Ro 52 kD e il Ro 60 kD(24). Questi studi suggerirebbero che la presenza nella madre di anticorpi diretti verso la componente 52 kD dell'antigene Ro e/o verso l'antigene La conferiscono un rischio maggiore di blocco cardiaco per il neonato(25). L'esperienza del nostro centro risultante dall'analisi di 56 gravidanze di 44 pazienti con malattia autoimmune sistemica e anticorpi anti Ro/SS-A e/o anti La/SS-B (Tab. 1) confermerebbero l'importanza di questa classificazione, come pure i risultati di uno ampio studio collaborativo in cui sono confluiti i nostri dati(26). TAB 1
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